Sul pagamento del compenso del CTU e su chi siano i soggetti tenuti a corrisponderlo, si riporta un caso trattato dal mio studio.

Il fatto

Un medico veniva nominato CTU nell’ambito di un giudizio civile, prestava il giuramento di rito e dava corso alle operazioni peritali, depositando nei termini assegnati la bozza preliminare e la relazione conclusiva, unitamente all’istanza di liquidazione https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1940-10-28;1443.

Nel frattempo, le parti in causa giungevano ad un accordo stragiudiziale e il legale di una di loro scriveva al CTU invitandolo a sospendere le operazioni; questi replicava evidenziando che l’ordine di sospensione delle operazioni peritali poteva provenire soltanto dal Giudice e non dalle perti stesse.

La causa veniva poi cancellata dal ruolo ai sensi dell’art. 309 c.p.c. senza che il Giudice provvedesse a liquidare il compenso del CTU.

A questo punto, l’interessato si rivolgeva al sottoscritto Avvocato che, previo ottenimento del visto di congruità sulla parcella del professionista da parte dell’Ordine professionale di appartenenza, richiedva nei confronti di tutte le parti della causa originaria un decreto ingiuntivo (cfr. il mio articolo https://avvocatosimonagiorgi.it/recupero-crediti-decreto-ingiuntivo/) avverso il quale gli ingiunti, con due distinti atti, propronevano opposizione.

Il giudizio di opposizione

Secondo le tesi degli opponenti, non sussisteva il diritto al compenso del CTU in quanto le parti in causa gli avevano comunicato di non intendere più di avvalersi della sua opera (con una comunicazione diretta al consulente ma non fatta oggetto di una apposita istanza al Tribunale).

La difesa del CTU ribadiva che in assenza di un provvedimente espresso del Giudice istruttore il CTU doveva portare a termine il suo incarico e che le difese delle parti avversarie si palesavano del tutto infondate e finalizzate unicamente a ritardare il pagamento del compenso.

Il sottoscritto Avvocato, ancora, argomentava che il provvedimento di estinzione del giudizio civile non poteva in nessun caso pregiudicare il diritto del CTU al pagamento e che tutte le parti in causa, in solido tra loro, erano tenute a pagare il compenso del CTU.

Il Giudice di Pace di Roma definiva il giudizio con sentenza di rigetto (cliccare qui per leggerla), condividendo integralmente le difese del CTU.

Per effetto della sentenza, tutte le parti oltre al compenso, sono state condannate al pagamento delle spese e degli onorari della fase del decreto ingiuntivo e del giudizio di opposizione.

La azione revocatoria ordinaria è disciplinata dall’art. 2901 del codice civile.

Oggetto dell’azione revocatoria sono tutti gli atti disposizione del patrimonio del debitore, a titolo oneroso e gratuito, anche se sottoposti a condizione, anche se oggetto di giudizio (il c.d. credito litigioso), di beni immobili, mobili e anche di diritti di credito nonché di prestazioni di garanzia.

 

I PRESUPPOSTI DELL’AZIONE

L’azione revocatoria può essere intentata dal creditore contro il suo debitore quando sussistono questi requisiti preliminari:

  1. Il debitore deve essere consapevole del pregiudizio che l’atto di disposizione arreca alle ragioni del creditore. Naturalmente questa circostanza deve essere oggetto di specifica prova da parte dell’attore in giudizio.
  2. Se l’atto è anteriore al sorgere del credito deve essere stato compiuto con l’intenzione specifica di pregiudicare il soddisfacimento del credito;
  3. Il terzo deve essere consapevole che l’atto è lesivo delle ragioni del credito e se si tratta di atto a titolo gratuito deve esserne compartecipe;
  4. L’azione deve essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto e la domanda deve essere trascritta quando di tratta di beni immobili o mobili registrati.

 

GLI EFFETTI DELL’AZIONE

Il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria comporta, soltanto per il creditore che abbia esercitato questa azione, il diritto di sottoporre ad esecuzione forzata i beni oggetto dell’atto di disposizione pregiudizievole, nei confronti del terzo, in quanto – essendo l’atto inefficace nei suoi confronti – è come se non fosse mai venuto ad esistenza.

L’art. 2902 del codice civile https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1942-03-16;262 al primo comma infatti dispone: “il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.

 

Su questo tema specifico segnalo una sentenza del Tribunale di Latina (per leggerla cliccare qui), confermata dalla Corte d’Appello di Roma (qui il testo integrale) che ha accolto la domanda di revocatoria ordinaria promossa da due creditori, patrocinati dalla sottoscritta Avvocata ( https://avvocatosimonagiorgi.it/chi-sono/ ).

 

Il recupero del credito può essere efficacemente realizzato con la c.d. “revocatoria semplificata”. Si tratta di un utile strumento che può essere attuato quando un creditore abbia difficoltà a recuperare le somme che gli sono dovute perché il debitore si è spogliato dei suoi beni, o perché li ha donati o trasferiri a titolo gratuito o perché li ha in qualche modo vincolati. L’azione è disciplinata dall’art. 2929 bis del codice civile.

https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=2&art.idGruppo=405&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=2929&art.idSottoArticolo=2&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0.

 

I PRESUPPOSTI DELL’AZIONE PER UN EFFICACE RECUPERO DEL CREDITO

L’azione disciplinata dall’art. 2929 bis c.c. si esperisce nel rispetto di questi presupposti:

  1. Il creditore deve essere munito di un titolo esecutivo
  2. Il debitore deve avere pregiudicato i suoi diritti con un atto di disposizione patrimoniale di costituzione di un vincolo di indisponibilità o di alienazione a titolo gratuito
  3. Oggetto dell’atto pregiudizievole devono essere beni immobili o mobili registrati (https://avvocatosimonagiorgi.it/beni-immobili-definizione-e-acquisizione/)
  4. Il creditore pregiudicato deve trascrivere il suo pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto pregiudizievole

 

CARATTERI DELL’AZIONE

L’azione promossa dal creditore è il pignoramento (di beni immobili o beni mobili registrati) effettuato non già nei confronti del debitore originario bensì nei confronti del suo avente causa. Il secondo comma dell’art. 2929 bis c.c., infatti, precisa che “il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato”.

In sostanza, il creditore che si avvale di questa azione va a soddisfarsi su un bene che fa parte del patrimonio di un terzo ma che per un anno dal trasferimento o dalla costituzione del vincolo resta compreso fra tutti i beni del debitore che garantiscono la sua responsabilità patrimoniale ai sensi dell’art. 2740 c.c.

 

Il termine di un anno è un termine perentorio di decadenza; ne segue che se questa azione non viene coltivata con tempestività il creditore dovrà avvalersi della revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. e che sarà oggetto di un successivo approfondimento.

Avv. Simona Giorgi

l’impugnazione delle delibere assembleari adottate dall’assemblea di condominio è disciplinata dall’art. 1137 del codice civile. Questo rimedio è diretto ad annullare la delibera ma, si noti bene, in pendenza del giudizio di impugnazione la delibera resta valida ed efficace, a meno che non se ne sia ottenuta la sospensione, come si dirà più avanti.

 

Chi può impugnare la delibera assembleare?

 

Possono impugnare le delibere assembleari il condòmino assente, quello dissenziente e quello astenuto ma anche quello sostituito con delega che non ratifichi il voto del delegato.

 

Il condòmino presente che abbia espresso voto favorevole può impugnare la delibera soltanto nei casi di nullità, casi che non sono previsti dalla legge ma sono stati elaborati dalla giurisprudenza e che sono molto particolari ed anche molto rari.

 

Il termine per proporre l’impugnazione è di trenta giorni (ed è un termine perentorio di decadenza) dalla data dell’assemblea per i presenti contrari o astenuti e dalla data di comunicazione del verbale per gli assenti.

 

Nei casi di nullità della delibera l’impugnazione può essere proposta senza termini di decadenza.

 

Per quali motivi si può impugnare una delibera assembleare?

 

I motivi di impugnazione possono attenere alla irregolare costituzione dell’assemblea, alla violazione della legge o del regolamento di condominio, alle maggioranze necessarie per deliberare o a vizi di forma.

 

La sospensione dell’efficacia della delibera

 

L’impugnazione, come detto, non sospende automaticamente l’efficacia della delibera. La sospensione può essere concessa dal giudice in corso di causa oppure, in via preventiva, qualora venga proposto un ricorso in via cautelare (nello stesso termine di trenta giorni) che deve essere motivato sia sul piano del c.d. periculum in mora (ossia del pregiudizio grave che il ricorrente potrebbe subire dalla sua esecuzione) che del fumus boni iuris (cioè delle buone ragioni a sostegno dell’istanza)

 

Mediazione obbligatoria

 

In materia condominiale, prima di iniziare il giudizio in tribunale, è necessario esperire un procedimento di mediazione presso un organismo abilitato.

Il termine di 30 giorni per l’impugnazione delle delibere assembleari, quindi, si intende rispettato quando sia stato avviato tempestivamente il procedimento di mediazione.

In caso di fallimento dello stesso decorrerà un ulteriore termine di 30 giorni per introdurre la causa in tribunale conteggiato dalla data di sottoscrizione del verbale negativo.

 

Avv. Simona Giorgi

https://avvocatosimonagiorgi.it/diritto-immobiliare/

https://tribunale-latina.giustizia.it/it/dettaglio_comefareper.page?contentId=PRC7428&modelId=32

Recupero del credito con il decreto ingiuntivo

Chi è creditore di una somma di denaro determinata, chi abbia diritto alla consegna di una cosa mobile e gli avvocati, i notai e gli altri esercenti una libera professione possono richiedere al Giudice Pace o al Tribunale (secondo la competenza per valore dell’Ufficio) l’emissione di un DECRETO INGIUNTIVO, ossia di un provvedimento contenente l’ordine di pagare (o consegnare) quanto dovuto dal debitore oltre al pagamento delle spese del procedimento (https://www.tribunale.roma.it/modulistica/Mod_1598_4000/Decreto%20Ingiuntivo%20Telematico.pdf ).

 

Una volta emesso il Decreto Ingiuntivo, questo deve essere notificato al debitore entro 60 giorni dal giorno del deposito in Cancelleria ed in mancanza di pagamento oppure decorsi 40 giorni dalla notifica senza che il debitore abbia proposto opposizione diverrà definitivamente esecutivo.

 

Si tratta, quindi, un procedimento più veloce rispetto ad una causa ordinaria che si fonda sull’esistenza della prova scritta del credito che deve essere allegata al ricorso introduttivo.

 

QUALI SONO LE PROVE SCRITTE IDONEE ALL’OTTENIMENTO DEL DECRETO INGIUNTIVO?

 

Il codice di procedura civile specifica che si intendono prove scritte, ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo:

  1. Le polizze e le promesse unilaterali per scrittura privata
  2. I telegrammi
  3. Gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dal codice civile
  4. Gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle norme tributarie correttamente tenute
  5. Per i crediti dei professionisti, è prova scritta la parcella delle spese e dei compensi corredata del parere di congruità dell’associazione professionale di appartenenza
  6. Per i crediti dello Stato e degli enti pubblici, i libri o i registri della pubblica amministrazione muniti dell’attestazione del dirigente o di un notaio;
  7. Per i crediti degli enti previdenziali, anche i verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro o dei funzionari dell’ente
  8. Per i crediti del condominio o del supercondominio, è prova scritta il verbale dell’assemblea di approvazione della spesa con le maggioranze prescritte dalla legge che, se corredato anche dagli stati di ripartizione, costituisce titolo per ottenere la provvisoria esecutorietà del D.I.
  9. L’assegno bancario scaduto;
  10. La cambiale tratta accettata;
  11. Per i crediti degli istituti bancari l’art. 50 TUB sono prove scritte gli estratti conto non contestati ed il saldaconto, dichiarativo del solo credito finale della banca verso il cliente

 

L’ESECUTORIETA’ DEL DECRETO INGIUNTIVO

 

Come detto, il D.I. diviene definitivamente esecutivo decorsi 40 giorni dalla notifica senza che il debitore abbia proposto opposizione; ciò significa che il creditore può proporre tutte le azioni esecutive del caso per ottenere la soddisfazione coattiva delle sue ragioni.

 

In alcuni casi, però, il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo nel senso che il creditore può iniziare l’esecuzione forzata anche in pendenza del termine per proporre opposizione.

 

I casi in cui il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo sono previsti dall’art. 642 c.p.c.

  1. Se il credito fatto valere è fondato su cambiale, assegno bancario o circolare, atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale
  2. Quando vi è pericolo di pregiudizio nel ritardo
  3. Quando si produce documentazione sottoscritta dal debitore

 

Il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo anche in pendenza del giudizio di opposizione allo stesso se l’opposizione non è fondata su una prova scritta o di pronta soluzione.

(sull’opposizione a D.I. si veda anche https://avvocatosimonagiorgi.it/difesa-del-consumatore-clausole-abusive-contratti/

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: PICCOLA GUIDA OPERATIVA

 

La misura dell’Amministrazione di sostegno ha lo scopo di tutelare il soggetto maggiorenne che si trovi, a causa di una menomazione fisica o psichica, anche temporaneamente, nell’impossibilità di curare da sé i propri interessi.

L’iniziativa può essere presa dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal pubblico ministero su segnalazione dei servizi socio-sanitari ma anche dallo stesso interessato che può designare il soggetto che assumerà l’incarico, qualora se ne presentasse la necessità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata https://avvocatosimonagiorgi.it/diritto-di-famiglia/.

L’istanza si propone al Giudice Tutelare presso il Tribunale che ha sede nel circondario di residenza o domicilio dell’interessato e, se accolta, si esplica nella pronuncia di un decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno ove saranno indicati il nominativo dell’amministratore di sostegno, l’oggetto dell’incarico, gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, gli atti che il beneficiario può compiere soltanto con l’assistenza del’amministratore, la durata dell’incarico, i limiti alle spese e ogni altra disposizione il Giudice ritenga utile e giustificata in relazione al caso specifico https://tribunale-latina.giustizia.it/it/dettaglio_comefareper.page?contentId=PRC7325&modelId=32 .

Il Giudice, infatti, ha il dovere di sentire il beneficiario prima della pronuncia del decreto proprio per rendersi conto delle sue condizioni oggettive e calibrare le misure protettive da disporre.

L’Amministratore è tenuto a chiedere l’autorizzazione del Giudice Tutelare tutte le volte che debba compiere uno degli atti elencati dall’art. 374 Cod. Civ. (ad esempio, vendere beni immobili, riscuotere capitali, promuovere giudizi, accettare eredità etc) ed è tenuto a rendere conto periodicamente del proprio operato.

L’Amministratore di sostegno è civilmente responsabile del proprio operato e gli atti che abbia compiuto in violazione dei propri doveri sono annullabili.

È importante tenere ben presente che il beneficiario, per effetto della misura, non è considerato incapace di intendere e di volere e può da solo compiere tutti gli atti necessari allo svolgimento della vita quotidiana.

La misura protettiva può essere revocata quando siano venute meno le ragioni che l’hanno giustificata.

L’incarico dell’A.d.S. si intende prestato a titolo gratuito.

Avv. Simona Giorgi https://avvocatosimonagiorgi.it/chi-sono/

 

In questi giorni vicenda del gattino Leone, triste, tragica, spaventosa, ha profondamente commosso ed indignato migliaia di persone, compresa la scrivente.

Il cucciolo di gatto è stato sottoposto a sevizie indicibili e, nonostante gli sforzi disperati dei veterinari e di tutti gli operatori che hanno fatto di tutto per salvarlo, il piccolo non ce l’ha fatta.

Abbiamo tutti visto quali gravi ferite fossero state inferte all’animaletto ed udito i suoi lamenti strazianti.

Ora si chiede a gran voce che il responsabile o i responsabili di tanta feroce crudeltà siano identificati e processati.

Lo speriamo tutti ma, purtroppo, questi criminali non rischieranno molto.

L’art. 544 ter del nostro codice penale https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=2&art.idGruppo=50&art.flagTipoArticolo=1&art.codiceRedazionale=030U1398&art.idArticolo=544&art.idSottoArticolo=3&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1930-10-26&art.progressivo=0#:~:text=Chiunque%2C%20per%20crudelta%27%20o%20senza,5.000%20a%2030.000%20euro))., infatti, dispone che: “1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. 2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale” ed, in virtù di questa disposizione, il colpevole o i colpevoli potrebbero non scontare mai nemmeno un solo giorno di carcere, viste le disposizioni vigenti dell’ordinamento penitenziario.

Il reato di maltrattamenti o uccisione di un animale è stato inserito nel codice penale appena 20 anni fa, dalla legge n. 189 del 2004, andando a colmare un vuoto normativo di cui si avvertiva fortemente la necessità e, tutt’oggi, secondo il codice civile gli animali sono paragonati a mere “cose”.

È evidente che lo stato attuale della legislazione civile e penale non è sufficiente a reprimere con efficacia la crudeltà verso gli animali, considerato anche che negli ultimi anni i casi sembrano essersi moltiplicati, anche per mano di individui di giovane età dai quali ci si aspetterebbe una maggiore sensibilità ed empatia nei confronti di tutti gli esseri senzienti e che, invece, non esitano a pubblicare post in cui si fanno vanto di avere esercitato un atto di brutalità gratuita nei confronti di un essere indifeso, in balia della loro violenza.

Personalmente auspico una prossima riforma dell’art. 544 ter c.p. che preveda pene molto più severe oltre all’applicazione di misure di sicurezza nei confronti dei colpevoli. Non può essere sottaciuto che la violenza contro gli animali è un segnale molto preoccupante indice di psicopatologie molto gravi, basti ricordare che alcuni tra i più efferati serial killer (non ultimo Jeffrey Dahmer, il cosiddetto “cannibale di Milwaukee”) prima di diventare assassini di esseri umani sono stati assassini e torturatori di animali.

Occorre quindi cambiare prospettiva e smettere di pensare che si tratta “soltanto” di un gatto o di un cane e preoccuparsi seriamente. Qualunque atto di crudeltà, anche quello che appare minimo o insignificante, deve essere denunciato e se tra i nostri famigliari c’è qualcuno che manifesta indizi di questa pericolosa tendenza deve essere nostra precisa responsabilità indurlo ad affidarsi ad un bravo specialista, prima che il danno diventi irreparabile.

Intanto, dedico questo scritto al piccolo Leone, vittima innocente della ferocia umana, e invito tutti a leggere le belle pagine de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, in cui l’Autore descrive con magistrale sensibilità i sentimenti della protagonista Tereza mentre assiste negli ultimi istanti di vita l’adorata cagnetta Karenin.

Con l’auspicio che la vicenda di Leone, la sua tragedia, non sia stata vana.

Avvocato Simona Giorgi: CV ed Esperienze Professionali

Rafforzata la tutela del consumatore!

Lo scorso 6 aprile 2023 la Corte di Cassazione a Sezione Unite, con la storica sentenza n. 9479 (09479/2023 (giustizia.it)), ha ampliato gli strumenti di difesa del consumatore non solo nella fase di cognizione (cioè di giudizio sul merito della pretesa) ma anche nella fase di esecuzione, ossia quando il consumatore stesso è soggetto ad un procedimento di esecuzione forzata a suo danno in forza di un titolo non opposto a suo tempo.

Nella sentenza succitata il Supremo Collegio ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea formatasi sulla scorta della Direttiva 93 del 2013 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31993L0013) in materia di contratti conclusi tra un professionista e un consumatore che contengano clausole abusive.

È utile richiamare il contenuto dell’art. 2 della Direttiva citata ove si precisa che per “consumatore” si intende qualsiasi persona fisica che stipuli un contratto per fini estranei alla sua attività professionale; per “professionista” si intende il soggetto (persona fisica o giuridica) che agisca nell’ambito della sua attività professionale mentre per “clausole abusive” si intendono quelle, esplicitate nel successivo articolo 3, che non siano state oggetto di trattativa individuale e comportino un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi gravanti sulle parti, a svantaggio del consumatore.

Nel corso degli anni il legislatore nazionale ha emanato una serie di provvedimenti legislativi per adeguare il nostro ordinamento ai dettami della Direttiva 93/13, culminati con il c.d. Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005 aggiornato per ultimo dalla legge 136/2023), rafforzando quindi la tutela del contraente debole, con il solo limite del giudicato formatosi su un provvedimento giurisdizionale (nella maggioranza dei casi, un decreto ingiuntivo) che, se posto a base di un procedimento esecutivo, non poteva essere più discusso nel suo contenuto.

Ebbene, la sentenza della Cassazione n. 9479/2023 ha abbattuto anche questo limite sicchè, anche in sede di esecuzione, il Giudice di questa fase, prima di disporre l’assegnazione o la vendita del bene pignorato, deve esaminare il titolo esecutivo e rilevare se esso si fonda su un contratto contenente clausole quanto meno sospette di abusività. Se detto controllo risulta positivo, il Giudice dell’esecuzione deve assegnare all’esecutato il termine di 40 giorni per proporre l’opposizione al decreto ingiuntivo, con conseguente sospensione del processo esecutivo fino alla definizione del giudizio sul merito del titolo monitorio.

Si tratta, come si vede, di una novità assoluta nel nostro ordinamento dato che il decreto ingiuntivo che non era stato opposto dal debitore /consumatore non poteva essere più contestato, nemmeno quando si fondasse su contratti macroscopicamente squilibrati a suo svantaggio.

Tra le clausole abusive più frequenti, oggetto di contestazione, si possono indicare quelle che comminano il pagamento di una penale eccessiva, che stabiliscono interessi di mora in caso di ritardato pagamento troppo alti (tali quelli superiori al tasso indicato dal D. Lgs. 231/2002), che comportano la risoluzione di diritto del contratto anche in caso di mancato pagamento di una solo rata, clausole che comportino per i garanti fideiussori (Diritto Bancario Latina – Avvocato Simona Giorgi) prestazioni più onerose; si tratta delle cc.dd. clausola di sopravvivenza, clausola di reviviscenza, clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c..

In conclusione, con la sentenza 9479/2023  è stata rafforzata tutela del consumatore, contraente “debole”, in conformità allo spirito della legislazione unionale, cui il nostro ordinamento deve necessariamente adeguarsi.

Avvocato Simona Giorgi: CV ed Esperienze Professionali

Il ricorso davanti al Giudice di Pace

Segnalo il mio contributo pubblicato sulla rivista SalviJuribus, in materia di ricorso davanti al Giudice di Pace con particolare riguardo ai casi di opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzion, così come risulta dopo la riforma Cartabia del processo civile, entrata in vigore lo scorso 28 febbraio 2023 (Avvocato Simona Giorgi: CV ed Esperienze Professionali).

La riforma ha, infatti, disposto che le cause di competenza del Giudice di Pace dovranno essere trattate secondo il nuovo “rito semplificato di cognizione”, disciplinato dagli artt. 281 decies del c.p.c., ponendo così all’avvocato la soluzione di un problema non sicuramente banale: posto che gli artt. 645 e 615 comma I c.p.c., non interessati dalla riforma, prescrivono che l’opposizione al decreto ingiuntivo e l’opposizione all’esecuzione si propongono con atto di citazione, cosa succede quando il Giudice competente per materia e/o valore è il Giudice di Pace, il ricorso al Giudice di Pace esclude sempre l’atto di citazione?

Nel contributo segnalato si tenta di offrire una soluzione al quesito, coordinando tra loro le disposizioni di legge, tenendo presente le opinioni espresse dalla dottrina oltre ai protocolli redatti da alcuni Uffici Giudiziari.

Con il nuovo procedimento, tutte le controversie davanti al Giudice di Pace si introducono con ricorso e non più con atto di citazione, cambiano i termini di costituzione in giudizio, cambia la trattazione della causa.

Inoltre dal 30 giugno 2023 anche l’Ufficio del Giudice di Pace è stato informatizzato sicchè l’avvocato è tenuto ad avvalersi del PCT (Processo Civile Telematico) provvedendo ad iscrivere e depositare tutti gli atti soltanto con questa modalità. Anche le udienze saranno trattate in via telematica.

La riforma Cartabia del processo civile ha, quindi, non solo cambiato il rito ma anche le modalità pratiche di gestione dei fascicoli e delle cause.

L’opposizione a decreto ingiuntivo e all’esecuzione davanti al giudice di pace | Salvis Juribus

Responsabilità medica e riforma Cartabia: cosa cambia dal 28 febbraio 2023, con la riforma del processo civile e quali riflessi sui processi per responsabilità medica?

Le novità introdotte sono tante e rappresentano per l’avvocato una sfida; se da un lato, infatti, alcuni istituti di nuova introduzione appaiono chiari e ben definiti, dall’altro si pongono non pochi problemi di tipo interpretativo e procedurale di non facile soluzione.

Uno di questi problemi si pone riguardo alla nota legge “Gelli Bianco”, entrata in vigore il 1.4.2017, sulla disciplina sostanziale e processuale della responsabilità medica.

La legge si occupa dei casi di “danno iatrogeno”, ossia dei casi di lesione psicofisica determinata dalla  colpa del medico, dalla insufficiente informazione al paziente, dalle deficienze organizzative o logistiche della struttura sanitaria, dalla omessa vigilanza etc. Il danno risarcibile, si identifica in sostanza nel peggioramento del proprio stato di salute che sia conseguenza di un trattamento medico.

Tralasciando la natura della responsabilità, il grado della colpa giuridicamente rilevante, l’onere della prova e tanto altro, ciò che invece è risulta ora dubbio è il profilo processuale.

Responsabilità medica e riforma Cartabia: cosa cambia per il processo?

La legge Gelli Bianco aveva inteso sottoporre queste specifiche controversie ad un rito più celere condizionato, però, al preventivo tentativo di risoluzione bonaria che può avvenire in due modi.

Il primo è quello della consulenza tecnica preventiva a scopo conciliativo, disciplinata dagli artt. 696bis cpc..

In questo caso, due consulenti tecnici (uno specialistica della branca medica di cui si tratta e l’altro medico legale) (Responsabilità Medica Latina – Avvocato Simona Giorgi) nominati dal Giudice accertano il se e il quanto del danno. Gli esiti della CTU avranno valore di prova nel successivo giudizio di merito sempre che le parti non intendano accettare la proposta conciliativa che i CTU potranno sottoporre all’esame delle parti. Quando la parte pretesa danneggiata abbia propeso per questo tipo di procedura conciliativa e la stessa abbia avuto esito negativo, nel senso che non sia positivamente conclusa, il giudizio di merito, prescrive le legge Gelli Bianco, dovrà essere introdotto nelle forme prescritte dall’art. 702bis cpc (l’art. 8 comma 3 della legge 24/17 dispone testualmente: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all’articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile”).

Il problema che ora si pone all’operatore del diritto è questo: dal momento che dal prossimo 28.2.2023 il procedimento descritto dagli artt. 702bis e ss. del codice di rito è abrogato e cesserà di esistere, il successivo giudizio di merito per responsabilità medica dopo la riforma Cartabia dovrà essere introdotto con citazione, instaurando quindi un giudizio di cognizione ordinaria, oppure si dovrà optare per il nuovo rito semplificato di cui ai nuovi articoli 281 undecies e ss. del c.p.c.?

Leggendo il disposto dell’art. 281 undecies c.p.c. la risposta sembra senz’altro positiva atteso che questo dispone espressamente “Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato”.

Se la soluzione del quesito appare agevole quando si sia scelta la strada dell’accertamento tecnico preventivo conciliativo, non altrettanto facile appare concludere nello stesso senso quando invece si sia intrapresa la strada del procedimento di mediazione.

Si è infatti, nei quasi sei anni trascorsi dall’entrata in vigore della Legge Gelli Bianco si è ritenuto che l’art. 8 della stessa non si applicasse ai casi in cui il tentativo di conciliazione fosse stato esperito in mediazione con la conseguenza che, in tal caso, il preteso danneggiato dovesse introdurre il giudizio di merito nelle forme ordinarie e cioè notificando l’atto di citazione (Gazzetta Ufficiale).

Poiché però l’art. 281 undecies c.p.c. consente di incardinare il c.d. giudizio semplificato tutte le volte in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e la materia della responsabilità civile, anche medica, non è attribuita al Tribunale in composizione collegiale (l’art. 50bis c.p.c. contiene una elencazione tassativa delle controversie devolute al giudice collegiale) sembrerebbe dare spunti positivi al quesito posto.

In conclusione, si auspica l’intervento chiarificatore del legislatore su questa e tante altre questioni che la riforma, la cui entrata in vigore è stata anticipata dal 30.6.2023 al 28.2.2023, solleva.

Avv. Simona Giorgi

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