Segnalo il mio contributo pubblicato sulla rivista SalviJuribus, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzione davanti al Giudice di Pace dopo la riforma Cartabia del processo civile, entrata in vigore lo scorso 28 febbraio 2023.

La riforma ha, infatti, disposto che le cause di competenza del Giudice di Pace dovranno essere trattate secondo il nuovo “rito semplificato di cognizione”, disciplinato dagli artt. 281 decies del c.p.c., ponendo così all’avvocato la soluzione di un problema non sicuramente banale: posto che gli artt. 645 e 615 comma I c.p.c., non interessati dalla riforma, prescrivono che l’opposizione al decreto ingiuntivo e l’opposizione all’esecuzione si propongono con atto di citazione, cosa succede quando il Giudice competente per materia e/ valore è il Giudice di Pace, davanti al quale il processo si introduce sempre e tassativamente con ricorso?

Nel contributo segnalato se tenta di offrire una soluzione al quesito, coordinando tra loro le disposizioni di legge, tenendo presente le opinioni espresse dalla dottrina oltre ai protocolli redatti da alcuni Uffici Giudiziari.

L’opposizione a decreto ingiuntivo e all’esecuzione davanti al giudice di pace | Salvis Juribus

LA LEGGE GELLI BIANCO E LA RIFORMA CARTABIA

DUBBI E QUESTIONI CONTROVERSE

 

Domani, 28 febbraio 2023, entra in vigore la riforma del processo civile.

 

Le novità introdotte sono tante e rappresentano per l’avvocato una sfida; se da un lato, infatti, alcuni istituti di nuova introduzione appaiono chiari e ben definiti, dall’altro si pongono non pochi problemi di tipo interpretativo e procedurale di non facile soluzione.

 

Uno di questi problemi si pone riguardo alla nota legge “Gelli Bianco”, entrata in vigore il 1.4.2017, sulla disciplina sostanziale e processuale della responsabilità civile derivante da colpa medica.

 

La legge si occupa dei casi di “danno iatrogeno”, ossia dei casi di lesione psicofisica determinata dalla  colpa del medico, dalla insufficiente informazione al paziente, dalle deficienze organizzative o logistiche della struttura sanitaria, dalla omessa vigilanza etc. Il danno risarcibile, si identifica in sostanza nel peggioramento del proprio stato di salute che sia conseguenza di un trattamento medico.

 

Tralasciando la natura della responsabilità, il grado della colpa giuridicamente rilevante, l’onere della prova e tanto altro, ciò che invece è risulta ora dubbio è il profilo processuale.

 

I profili processuali

 

La legge Gelli Bianco aveva inteso sottoporre queste specifiche controversie ad un rito più celere condizionato, però, al preventivo tentativo di risoluzione bonaria che può avvenire in due modi.

 

Il primo è quello della consulenza tecnica preventiva a scopo conciliativo, disciplinata dagli artt. 696bis cpc..

 

In questo caso, due consulenti tecnici (uno specialistica della branca medica di cui si tratta e l’altro medico legale) (Responsabilità Medica Latina – Avvocato Simona Giorgi) nominati dal Giudice accertano il se e il quanto del danno. Gli esiti della CTU avranno valore di prova nel successivo giudizio di merito sempre che le parti non intendano accettare la proposta conciliativa che i CTU potranno sottoporre all’esame delle parti. Quando la parte pretesa danneggiata abbia propeso per questo tipo di procedura conciliativa e la stessa abbia avuto esito negativo, nel senso che non sia positivamente conclusa, il giudizio di merito, prescrive le legge Gelli Bianco, dovrà essere introdotto nelle forme prescritte dall’art. 702bis cpc (l’art. 8 comma 3 della legge 24/17 dispone testualmente: “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all’articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile”).

 

Il problema che ora si pone all’operatore del diritto è questo: dal momento che dal prossimo 28.2.2023 il procedimento descritto dagli artt. 702bis e ss. del codice di rito è abrogato e cesserà di esistere, il successivo giudizio di merito dovrà essere introdotto con citazione, instaurando quindi un giudizio di cognizione ordinaria, oppure si dovrà optare per il nuovo rito semplificato di cui ai nuovi articoli 281 undecies e ss. del c.p.c.?

 

Leggendo il disposto dell’art. 281 undecies c.p.c. la risposta sembra senz’altro positiva atteso che questo dispone espressamente “Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato”.

Se la soluzione del quesito appare agevole quando si sia scelta la strada dell’accertamento tecnico preventivo conciliativo, non altrettanto facile appare concludere nello stesso senso quando invece si sia intrapresa la strada del procedimento di mediazione.

Si è infatti, nei quasi sei anni trascorsi dall’entrata in vigore della Legge Gelli Bianco si è ritenuto che l’art. 8 della stessa non si applicasse ai casi in cui il tentativo di conciliazione fosse stato esperito in mediazione con la conseguenza che, in tal caso, il preteso danneggiato dovesse introdurre il giudizio di merito nelle forme ordinarie e cioè notificando l’atto di citazione (Gazzetta Ufficiale).

Poiché però l’art. 281 undecies c.p.c. consente di incardinare il c.d. giudizio semplificato tutte le volte in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e la materia della responsabilità civile, anche medica, non è attribuita al Tribunale in composizione collegiale (l’art. 50bis c.p.c. contiene una elencazione tassativa delle controversie devolute al giudice collegiale) sembrerebbe dare spunti positivi al quesito posto.

In conclusione, si auspica l’intervento chiarificatore del legislatore su questa e tante altre questioni che la riforma, la cui entrata in vigore è stata anticipata dal 30.6.2023 al 28.2.2023, solleva.

Avv. Simona Giorgi

La riforma del procedimento civile attuata dal precedente Governo e che porta il nome della allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha apportato interessanti novità anche in tema di patrocinio a spese dello Stato.

Come ho già esposto in altri miei contributi (cfr. L’assistenza legale gratuita per i non abbienti – StudiLegali.com), il diritto di agire e resistere in giudizio è garantito dalla Carta Costituzionale all’art. 24 ai non abbienti, cioè a coloro che si trovino in determinate condizioni reddituali e che possono richiedere l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ai sensi degli artt. 74-145 del D.P.R. 115/2002.

La legge, però, consentiva l’accesso al beneficio soltanto per la tutela dei diritti dinanzi alle sedi giudiziarie in senso stretto, lasciando scoperto il settore del c.d. A.D.R. ossia del sistema alternativo extra-giudiziale di risoluzione delle controversie, mediazione e negoziazione assistita in particolare.

Ebbene, la riforma Cartabia ha finalmente posto rimedio a questa situazione prevedendo espressamente che la parte che sia in possesso dei requisiti richiesti dalla legge può beneficiare del c.d. gratuito patrocinio anche per promuovere o aderire ai procedimenti di mediazione e/o negoziazione assistita.

Lo scopo dell’estensione, in linea con l’impianto generale della riforma, è quello di evitare l’avvio di contenziosi giudiziali e quindi l’appesantimento del carico di lavoro dei Magistrati permettendo il ricorso a questi strumenti deflattivi del contenzioso.

Le nuove disposizioni entreranno in vigore il prossimo 30 giugno 2023.

 

Il nuovo procedimento di separazione e divorzio

Dal prossimo 28 febbraio entrerà in vigore il nuovo procedimento di separazione e divorzio,in attuazione della c.d. riforma Cartabia del processo civile.

Rispetto al sistema di prossima abrogazione, le novità riguardano innanzitutto lo snellimento della procedura, che non sarà più bifasica né attribuita al Presidente del Tribunale, e l’attenzione precipuamente diretta alla tutela degli interessi dei figli minori.

Il Tribunale competente è individuato in quello del luogo di residenza dei figli minori e, qualora questi manchino, in quello del luogo di residenza del convenuto.

Tanto il ricorso introduttivo quanto la comparsa di risposta, quando siano formulate domande di mantenimento per il coniuge e/o per i figli, debbono essere obbligatoriamente corredati sin dal momento del loro deposito delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, della documentazione attestante la titolarità di beni immobili, mobili registrati e quote sociali e dagli estratti conto bancari e/o postali degli ultimi tre anni.

Lo scopo è quello di palesare sin dall’inizio le proprie capacità economiche al fine di consentire al Giudice di determinare la misura dell’assegno nella misura più congrua.

Una interessante novità ha introdotto la possibilità di domandare, già al momento dell’introduzione del giudizio di separazione, anche lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. È importante però tenere presente che anche se le domande sono proposte contestualmente esse conservano la propria autonomia, sicchè sarà pronunciata prima la sentenza di separazione e, decorso il termine per il passaggio in giudicato di quest’ultima, sarà procedibile quella di divorzio.

I provvedimenti temporanei e urgenti saranno pronunciati con ordinanza del giudice che potrà disporre anche quali informazioni un genitore sia tenuto a comunicare all’altro e formulare una proposta di piano genitoriale.

La riforma ha inteso, aggiungendo uno specifico articolo del codice di procedura, sanzionare specificamente il genitore inadempiente disponendo che il Giudice della crisi famigliare, anche d’ufficio, può revocare o modificare i provvedimenti inerenti la prole ed emettere provvedimenti sanzionatori, anche cumulati tra loro, tra i quali spicca la condanna al risarcimento dei danni  a favore dell’altro genitore (su domanda di parte) e/o del minore (anche d’ufficio).

I nuovi procedimenti di separazione consensuale e divorzio congiunto

La riforma ha precisato che il ricorso introduttivo deve essere sottoscritto anche dalle parti (oltre che naturalmente dai difensori) e, al pari del caso della separazione o del divorzio contenzioso, all’atto deve essere allegata la documentazione reddituale e patrimoniale delle parti.

La riforma ha poi accolto interamente l’orientamento giurisprudenziale più recente ed ha espressamente statuito che le parti possono regolare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali e quindi provvedere a trasferimenti immobiliari, divisioni, scioglimento di comunioni etc.

La separazione consensuale sarà pronunciata non più con decreto di omologazione bensì con sentenza.

Il procedimento per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio

Qualora sia una delle parti a chiedere la modifica dei provvedimenti il procedimento sarà contenzioso e seguirà lo schema previsto per le pronunce rese in sede di separazione o divorzio.

Nel caso, invece, di domanda congiunta, la novità più rilevante attiene alla trattazione della causa che avverrà in modalità scritta. La comparizione delle parti dinanzi al Giudice, infatti, sarà disposta soltanto se siano le parti a richiederla.

In entrambi i casi, il procedimento si conclude con sentenza.

La vicenda

La società X ha acquistato nel primo semestre del 2019 un immobile uso ufficio nel Comune di Latina pagando interamente il prezzo pattuito con il venditore e versando le relative imposte di registro ed ipo-catastali.

Dopo circa due anni, la società acquirente si vedeva notificare da parte dell’Agenzia delle Entrate competente un avviso di accertamento in rettifica nel quale, assumendo che il valore venale, ossia il valore meramente commerciale dell’immobile, fosse superiore a quello effettivamente pagato chiedeva il pagamento della maggiore imposta e delle sanzioni collegate.

La società acquirente, dopo aver rifiutato la proposta conciliativa formulata dall’Ufficio accertatore, proponeva, con l’assistenza del sottoscritto Avvocato, ricorso avanti alla Commissione Tributaria competente per territorio.

La causa veniva trattenuta in decisione ed in data 9 giugno 2022 veniva notificata alle parti la sentenza di accoglimento del ricorso con conseguente annullamento dell’atto impositivo.

Le ragioni del ricorso

Un aspetto importante da chiarire per la comprensione della vicenda è che l’Ufficio non ha contestato la veridicità del prezzo dichiarato ma ha semplicemente assunto che il bene in questione fosse stato venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato nell’area di riferimento.

La possibilità per l’Agenzia delle Entrate di emettere simili atti non si fonda sull’arbitrio ma sulla legge, essendo espressamente previsto dalla Legge, ed in particolare dall’art. 51 del DPR 131/1986, in base al quale per determinare il valore di mercato degli immobili e controllare la congruità delle imposte versate possono essere utilizzati, tra gli altri mezzi, anche gli atti per operazioni analoghe compiute nel triennio antecedente.

Si tratta del cosiddetto metodo comparativo che, però, come detto, è soltanto uno tra i diversi metodi utilizzabili.

La società ricorrente, nel contestare il criterio di stima adottato dall’Ufficio, rilevava innanzitutto come gli atti allegati dall’Ufficio a sostegno della propria tesi non fossero esaustivi giacchè nel triennio antecedente la compravendita de qua vi erano state altre compravendite aventi ad oggetto immobili analoghi e situati nello stesso stabile per prezzi assolutamente conferenti rispetto a quello contestato e che non erano stati oggetto di rettifica da parte dell’Ufficio.

Non solo. La ricorrente allegava a sostegno della propria tesi le quotazioni immobiliari O.M.I. redatte, proprio dall’Agenzia delle Entrate, le quali rafforzavano la dimostrazione che il prezzo pagato fosse assolutamente congruente con il valore intrinsecamente commerciale del bene, facendo notare come le quotazione avessero dimostrato un decremento nel triennio anche a causa della crisi del mercato immobiliare che, riteniamo, sia un fatto pressoché notorio.

Le motivazioni della sentenza

La sentenza della Commissione Tributaria competente ha condiviso le ragioni del ricorrente, soprattutto in relazione alla corrispondenza tra il prezzo pagato e il valore venale reale.

“Non si confonda la giustizia in senso giuridico, che vuol dire conformità delle leggi, con la giustizia in senso morale che dovrebbe essere tesoro comune di tutti gli uomini civili, qualunque sia la professione che essi esercitano nella vita pratica.”
PIERO CALAMANDREI
Piero Calamadrei è stato un insigne giurista, avvocato e politico.
I suoi scritti e i suoi discorsi, nonostante siano trascorsi ormai 65 anni dalla sua morte, sono ancora ricchi di spunti ed insegnamenti che tutti noi avvocati dobbiamo e vogliamo tenere bene a mente nell’esercizio della nostra professione, così impegnativa eppure affascinante.

L’Arbitro Bancario Finanziario. Un metodo alternativo di risoluzione delle controversie con le banche e gli altri intermediari finanziari.

Nel rapporto banca/cliente possono insorgere controversie collegate, ad esempio, all’addebito di interessi e commissioni troppo onerosi oppure alla consegna di documenti nonché, sempre più di frequente, legate all’utilizzo di strumenti informativi (home banking, utilizzo di app etc) che espongono sovente il cliente al rischio di subire vere e proprie truffe.

Queste controversie possono essere risolte ricorrendo all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), al di fuori quindi delle aule di Tribunale.

 

COSA È L’ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO

L’ABF è un collegio composto da 5 membri che, in attuazione dell’art. 128 bis T.U.B., dirime le controversie tra le banche e gli intermediari finanziari e i loro clienti.

Si articola in sedi territoriali localizzate a Bari, Bologna, Milano,  Napoli,  Palermo,  Roma e Torino.

Si tratta di un organo di ADR (Alternative Despute Resolution), non giurisdizionale.

 

DI COSA SI OCCUPA L’ABF NELLE CONTROVERSIE BANCARIE

L’ABF è competente per materia per tutte quelle controversie che abbiano ad oggetto operazioni e servizi finanziari e bancari.

Sono quindi devolute a questo organo le questioni inerenti a rapporti di conto corrente, carte bancomat e di credito, mutui e prestiti personali, segnalazioni alla Centrale dei Rischi etc.

Non si occupa di servizi di borsa e investimento quali i servizi di acquisto e collocazione di fondi di investimento,  obbligazioni etc.

I rapporti sottoposti all’ABF devono inoltre essere di valore pari o inferiore ad euro 200.000 e devono essere venuti ad esistenza dopo il 1° gennaio 2009.

Il limite di valore non rileva quando si chieda l’adempimento di obblighi o l’esercizio di diritti e facoltà.

 

COME SI PRESENTA IL RICORSO CONTRO LA BANCA

Per presentare il ricorso all’ABF è necessario avere prima presentato un formale reclamo direttamente alla banca interessata che è tenuta a rispondere entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso. È altresì necessario che non penda già un giudizio avente ad oggetto la medesima questione,  nemmeno se devoluto ad arbitri o mediatori. Queste condizioni devono essere rispettate a pena di irricevibilità del ricorso.

All’atto della presentazione è necessario versare la somma di € 20,00 per le spese di avvio.

Il  ricorso si deposita in via telematica,  accompagnato dagli eventuali documenti a sostegno della richiesta.

Ricevuto il ricorso, il Collegio invita la controparte a far  prevenire le sue controdeduzioni e dal momento in cui queste ultime sono trasmesse decorre il termine di 60 giorni per la pronuncia della decisione.

Si tratta, come si vede, di un procedimento scritto nel quale non è prevista la comparizione personale delle parti né alcuna discussione orale.

 

LA DECISIONE DELL’ABF, NATURA ED EFFETTI.

La decisione è comunicata alle parti. Essa consta di una motivazione e della decisione vera e propria che può essere di accoglimento, totale o parziale, o di rigetto.

Il  provvedimento però non è vincolante e non costituisce titolo esecutivo.

L’ottemperanza al suo contenuto è rimessa alle parti ma, si noti, l’ABF monitora i comportamenti delle banche e il mancato rispetto delle decisioni è pubblicato sul sito istituzionale dell’organo.

L’esito del ricorso, appunto perché non ha effetti vincolanti, non pregiudica il diritto delle parti a riproporre l’azione in via ordinaria, ossia davanti al Tribunale competente.

 

Nonostante la natura non definitiva e non esecutiva della decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario, il ricorso a questo organo rappresenta un’ottima alternativa alla causa ordinaria, celere e dai costi contenuti.

Pur non essendo obbligatorio il patrocinio del legale in questa fase, è consigliabile avvalersene considerando che, come detto, il procedimento si svolge per iscritto ed è a contradditorio ridotto.

È quindi importante esporre le proprie ragioni in modo accurato, in fatto e in diritto. L’ABF, infatti, non è un organo giurisdizionale ma le sue decisioni sono fondate sulle leggi e i regolamenti vigenti.

 

Avv. Simona Giorgi

Definizione

Per “successioni” o “successione” si intende la sorte dei rapporti giuridici, soprattutto patrimoniali, successive al tempo in cui il loro titolare avrà cessato di vivere.

La legge regola minuziosamente la vicenda successoria nel libro II del Codice Civile, intitolato, appunto, “delle successioni”.

I vari tipi di successione

Nel nostro ordinamento, la successione può essere testamentaria o legittima.

La prima si apre quando il de cuius (ossia il defunto) abbia disposto delle proprie sostanze in un atto scritto. La libertà del testatore non è assoluta perché il coniuge e i figli (e se manchino figli, il coniuge e gli ascendenti) dovranno ricevere una quota del patrimonio in ogni caso, anche contro la volontà dello stesso testatore (sono i cosiddetti eredi legittimari).

La successione legittima, invece, invece si apre quando manchi in tutto o in parte un testamento. In questo caso, la legge individua un’ampia serie di soggetti che potranno assumere la qualità di erede (il coniuge e i parenti fino al sesto grado).

La rinuncia all’eredità

L’erede può sempre rinunciare all’eredità entro termini ben precisi che possono essere più o meno lunghi a seconda che il chiamato all’eredità sia o meno nel possesso dei beni ereditari (da quaranta giorni a dieci anni).

L’accettazione con beneficio di inventario

Secondo la legge, l’erede subentra nei rapporti giuridici del defunto, sia attivi che passivi, e risponde dei debiti contratti dal de cuius anche oltre il valore della sua quota. Per evitare questo effetto di “responsabilità illimitata”, l’erede può accettare con beneficio di inventario. In tal caso, i debiti ereditari saranno soddisfatti entro i limiti della quota ereditaria stessa, rispettando una serie di cautele ed una procedura complessa dettagliatamente prevista dal codice civile.

La tutela dell’erede che sia stato leso nella sua quota

L’erede legittimario che abbia ricevuto meno di quanto gli fosse spettato per legge o che, addirittura, non abbia ricevuto nulla, può esercitare l’azione di riduzione al fine di vedersi reintegrato.

È molto importante sapere che per calcolare la quota da reintegrare deve tenersi conto non solo di quanto lasciato al momento della morte ma anche di quanto donato in vita.

La legge, infatti, considera ogni donazione disposta in vita come una sorta di anticipazione dell’eredità che non può mai andare a ledere i diritti dei legittimari.

La divisione ereditaria

Se gli eredi sono più di uno, tra loro esiste una comunione ereditaria che può essere sciolta in modo volontario (per contratto) o giudiziale.

La mediazione obbligatoria

Le controversie in materia di successioni e divisioni ereditarie debbono essere precedute dall’esperimento della mediazione avanti un organismo di mediazione accreditato.

In caso di esito positivo, il verbale di mediazione costituisce titolo esecutivo e permette alle parti di scontare l’imposta di registro fino alla concorrenza di € 50.000,00.

La denuncia di successione

Deve essere eseguita entro un anno dalla morte del cuius ed ha effetti strettamente fiscali e tributari.

 

Naturalmente, quanto detto finora non è che una sintesi estremamente stringata della vicenda successoria che è, invece, vastissima e complessa.

La consulenza dell’avvocato è necessaria non solo per capire se esistano e quali siano eventuali diritti da esercitare ma anche per adottare, anche prima dell’apertura di una successione, le cautele necessarie per evitare lesioni della propria quota.

Avv. Simona Giorgi

IL SIGNIFICATO

Secondo l’art. 151 c.c. il giudice, se ne ricorrono le circostanze e se almeno una delle parti ne fa richiesta, pronunciando la separazione, dichiara a quale dei coniugi sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio. Si tratta, in poche parole, di quella che un tempo veniva chiamata “separazione per colpa”.

Dalla disposizione succitata si evince, intanto, che la dichiarazione di addebito imputa il fallimento del matrimonio a quello dei coniugi che abbia violato i doveri che ne discendono e che sono elencati dall’art. 143 c.c., ossia il dovere di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di coabitazione, di collaborazione anche economica in proporzione alle rispettive sostanze e redditi, nonché – non per ultimi – i doveri riguardo ai figli (art. 147 c.c.).

LA CASISTICA

È importante però sottolineare che le violazione contestate ed eventualmente accertate debbono essere causa e non effetto della rottura.

Così, sull’infedeltà coniugale, la giurisprudenza è costante nel distinguere tra quella causa della crisi matrimoniale e quella conseguenza di quella stessa crisi. Soltanto la prima può costituire motivo di addebito, non certo la seconda. Di contro, è stato anche precisato che anche la mera relazione platonica e non consumata può dare luogo a pronuncia di addebito della separazione se condotta ed esibita con modalità tali da ledere la dignità, l’onore e il decoro dell’altro coniuge.

Quanto alla violazione dell’obbligo di coabitazione (il c.d. abbandono del “tetto coniugale”), se questa sia avvenuta per sottrarsi alla intollerabilità della convivenza non può costituire motivo di addebito. In casi diversi, l’abbandono dell’abitazione coniugale non solo può diventare motivo di addebito ma può costituire anche reato nei casi previsti dall’art. 570 del codice penale.

Analogamente per la violazione del dovere di assistenza morale e materiale. Il coniuge che non provveda a contribuire al mantenimento dell’altro e/o dei figli non solo può vedersi addebitata la separazione ma può anche commettere il delitto di violazione degli obblighi di assistenza famigliare.

LE CONSEGUENZE

Spetta al coniuge che lo chieda, dare la prova dei fatti costitutivi dell’addebito, prova che può essere data con ogni mezzo, sia diretto che documentale.

Il coniuge cui sia addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento da parte dell’altro ma conserva quello agli alimenti, ossia il diritto di chi versa in stato di bisogno e non ha i mezzi per provvedere autonomamente a vedersi erogato l’indispensabile per vivere.

Inoltre, il coniuge separato con addebito è escluso dall’eredità dell’altro.

Le conseguenze, dunque, sono di carattere strettamente patrimoniale.