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Il recupero crediti verso una società cancellata può essere complicato ma non impossibile.

L’Avvocato esperto in recupero crediti può avvalersi di diverse opzioni e valutare le azioni più opportune.

  1. Innanzitutto è bene controllare, in prima battuta, se la società è stata effettivamente cancellata dal registro delle imprese (https://www.registroimprese.it/variazioni-e-chiusura  ) se si tratta di una sospensione temporanea. In alcuni casi, le società possono essere già state liquidate, ma potrebbero esserci ancora beni disponibili per il soddisfacimento dei creditori.
  2. Se è in corso il procedimento di liquidazione, esiste il liquidatore che è espressamente incaricato di gestire i debiti della società. Contattare i liquidatori per presentare le proprie ragioni di credito può essere una buona strategia per ottenere il pagamento del dovuto e precostiuire i presupposti di una eventuale futura azione di responsabilità nei loro confronti.
  3. Verificare la pendenza di procedimenti di insolvenza: Se la società è stata dichiarata insolvente, è possibile partecipare alla procedura di fallimento e insinuarsi al passivo per poi partecipare alla distribuzione del ricavato.
  4. Verifica la responsabilità personale dei soci e degli amministratori: in alcuni casi, i soci o i dirigenti della società possono essere ritenuti personalmente responsabili per i debiti sociali, specialmente se ci sono state condotte illecite o se la società è stata gestita in modo fraudolento (https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=3&art.idGruppo=323&art.flagTipoArticolo=2&art.codiceRedazionale=042U0262&art.idArticolo=2495&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1942-04-04&art.progressivo=0#:~:text=2495)-,Art.,disposto%20dal%20secondo%20comma)).)

Il recupero del credito verso una società cancellata è quindi possibile ma è anche importante agire con tempestività.

Un professionista può offrirti una consulenza mirata e aiutarti a recuperare il dovuto.

È consigliabile consultare un avvocato specializzato nel recupero crediti https://avvocatosimonagiorgi.it/recupero-crediti-decreto-ingiuntivo/.

 

Recupero del credito con il decreto ingiuntivo

Chi è creditore di una somma di denaro determinata, chi abbia diritto alla consegna di una cosa mobile e gli avvocati, i notai e gli altri esercenti una libera professione possono richiedere al Giudice Pace o al Tribunale (secondo la competenza per valore dell’Ufficio) l’emissione di un DECRETO INGIUNTIVO, ossia di un provvedimento contenente l’ordine di pagare (o consegnare) quanto dovuto dal debitore oltre al pagamento delle spese del procedimento (https://www.tribunale.roma.it/modulistica/Mod_1598_4000/Decreto%20Ingiuntivo%20Telematico.pdf ).

 

Una volta emesso il Decreto Ingiuntivo, questo deve essere notificato al debitore entro 60 giorni dal giorno del deposito in Cancelleria ed in mancanza di pagamento oppure decorsi 40 giorni dalla notifica senza che il debitore abbia proposto opposizione diverrà definitivamente esecutivo.

 

Si tratta, quindi, un procedimento più veloce rispetto ad una causa ordinaria che si fonda sull’esistenza della prova scritta del credito che deve essere allegata al ricorso introduttivo.

 

QUALI SONO LE PROVE SCRITTE IDONEE ALL’OTTENIMENTO DEL DECRETO INGIUNTIVO?

 

Il codice di procedura civile specifica che si intendono prove scritte, ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo:

  1. Le polizze e le promesse unilaterali per scrittura privata
  2. I telegrammi
  3. Gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dal codice civile
  4. Gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle norme tributarie correttamente tenute
  5. Per i crediti dei professionisti, è prova scritta la parcella delle spese e dei compensi corredata del parere di congruità dell’associazione professionale di appartenenza
  6. Per i crediti dello Stato e degli enti pubblici, i libri o i registri della pubblica amministrazione muniti dell’attestazione del dirigente o di un notaio;
  7. Per i crediti degli enti previdenziali, anche i verbali di accertamento dell’ispettorato del lavoro o dei funzionari dell’ente
  8. Per i crediti del condominio o del supercondominio, è prova scritta il verbale dell’assemblea di approvazione della spesa con le maggioranze prescritte dalla legge che, se corredato anche dagli stati di ripartizione, costituisce titolo per ottenere la provvisoria esecutorietà del D.I.
  9. L’assegno bancario scaduto;
  10. La cambiale tratta accettata;
  11. Per i crediti degli istituti bancari l’art. 50 TUB sono prove scritte gli estratti conto non contestati ed il saldaconto, dichiarativo del solo credito finale della banca verso il cliente

 

L’ESECUTORIETA’ DEL DECRETO INGIUNTIVO

 

Come detto, il D.I. diviene definitivamente esecutivo decorsi 40 giorni dalla notifica senza che il debitore abbia proposto opposizione; ciò significa che il creditore può proporre tutte le azioni esecutive del caso per ottenere la soddisfazione coattiva delle sue ragioni.

 

In alcuni casi, però, il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo nel senso che il creditore può iniziare l’esecuzione forzata anche in pendenza del termine per proporre opposizione.

 

I casi in cui il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo sono previsti dall’art. 642 c.p.c.

  1. Se il credito fatto valere è fondato su cambiale, assegno bancario o circolare, atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale
  2. Quando vi è pericolo di pregiudizio nel ritardo
  3. Quando si produce documentazione sottoscritta dal debitore

 

Il D.I. può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo anche in pendenza del giudizio di opposizione allo stesso se l’opposizione non è fondata su una prova scritta o di pronta soluzione.

(sull’opposizione a D.I. si veda anche https://avvocatosimonagiorgi.it/difesa-del-consumatore-clausole-abusive-contratti/

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: PICCOLA GUIDA OPERATIVA

 

La misura dell’Amministrazione di sostegno ha lo scopo di tutelare il soggetto maggiorenne che si trovi, a causa di una menomazione fisica o psichica, anche temporaneamente, nell’impossibilità di curare da sé i propri interessi.

L’iniziativa può essere presa dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal pubblico ministero su segnalazione dei servizi socio-sanitari ma anche dallo stesso interessato che può designare il soggetto che assumerà l’incarico, qualora se ne presentasse la necessità, per atto pubblico o scrittura privata autenticata https://avvocatosimonagiorgi.it/diritto-di-famiglia/.

L’istanza si propone al Giudice Tutelare presso il Tribunale che ha sede nel circondario di residenza o domicilio dell’interessato e, se accolta, si esplica nella pronuncia di un decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno ove saranno indicati il nominativo dell’amministratore di sostegno, l’oggetto dell’incarico, gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, gli atti che il beneficiario può compiere soltanto con l’assistenza del’amministratore, la durata dell’incarico, i limiti alle spese e ogni altra disposizione il Giudice ritenga utile e giustificata in relazione al caso specifico https://tribunale-latina.giustizia.it/it/dettaglio_comefareper.page?contentId=PRC7325&modelId=32 .

Il Giudice, infatti, ha il dovere di sentire il beneficiario prima della pronuncia del decreto proprio per rendersi conto delle sue condizioni oggettive e calibrare le misure protettive da disporre.

L’Amministratore è tenuto a chiedere l’autorizzazione del Giudice Tutelare tutte le volte che debba compiere uno degli atti elencati dall’art. 374 Cod. Civ. (ad esempio, vendere beni immobili, riscuotere capitali, promuovere giudizi, accettare eredità etc) ed è tenuto a rendere conto periodicamente del proprio operato.

L’Amministratore di sostegno è civilmente responsabile del proprio operato e gli atti che abbia compiuto in violazione dei propri doveri sono annullabili.

È importante tenere ben presente che il beneficiario, per effetto della misura, non è considerato incapace di intendere e di volere e può da solo compiere tutti gli atti necessari allo svolgimento della vita quotidiana.

La misura protettiva può essere revocata quando siano venute meno le ragioni che l’hanno giustificata.

L’incarico dell’A.d.S. si intende prestato a titolo gratuito.

Avv. Simona Giorgi https://avvocatosimonagiorgi.it/chi-sono/

 

Assegno di mantenimento e assegno di divorzio

Nella patologia del rapporto coniugale suscita molta conflittualità la determinazione degli assegni di mantenimento per il coniuge e dell’assegno di divorzio per l’ex coniuge. Nonostante si pensi siano pressoché identici non è così. Per prima cosa è utile quindi capire la differenza che intercorre tra assegno di mantenimento e assegno divorzile.

Assegno di mantenimento: come si determina

L’art. 156 cod. civ. statuisce che “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Dalla lettura dell’articolo si ricavano i primi criteri che il Giudice deve seguire per determinare, innanzitutto, se esista il diritto all’assegno di mantenimento (quindi se al soggetto cui deve essere attribuito sia o no addebitabile la separazione e se questo disponga o no di redditi propri adeguati), ed in secondo luogo, a quanto debba ammontare. Ebbene, l’importo dell’assegno deve essere in linea con i redditi dell’obbligato e al tempo stesso sufficiente a garantire il mantenimento del beneficiario. Il livello del mantenimento è valutato con riferimento al tenore di vita della coppia durante il matrimonio e, quindi, più il tenore di vita sia stato alto più alto sarà l’assegno.

Non si deve confondere l’assegno di mantenimento con gli alimenti. Gli alimenti spettano a chi si trovi in stato di bisogno e consistono nell’attribuzione di una somma necessaria a soddisfare le necessità primarie e fondamentali di vita.

Assegno di divorzio: come si determina

L’assegno di divorzio è invece disciplinato dalla Legge 898/1970 il cui art. 5 comma 6 dispone: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Fino a due anni fa, nella prassi, c’era un certo automatismo nel liquidare l’assegno divorzile in misura corrispondente all’assegno di mantenimento ma recenti arresti della giurisprudenza della Corte di Cassazione hanno ridisegnato l’istituto.

Il criterio del tenore di vita precedentemente goduto non è più preso in considerazione ma si tiene conto, valutati in ogni caso i redditi e il patrimonio delle parti, del contributo che l’ex coniuge alla formazione del patrimonio familiare e alle sue condizioni personali, commisurando l’assegno alla quantità e qualità del contributo dato di cui si è detto.

In ogni caso è sempre consigliabile rivolgersi ad un buon avvocato, che possa assistere durante tutto l’iter della separazione e/o del divorzio, compresa la determinazione degli assegni spettanti.

https://avvocatosimonagiorgi.it/diritto-di-famiglia/ 

https://tribunale-latina.giustizia.it/it/come_fare_per.page?macro_area=area_civ&subarea_1=famiglia_e_persone_famiglia