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Il ricorso davanti al Giudice di Pace

Segnalo il mio contributo pubblicato sulla rivista SalviJuribus, in materia di ricorso davanti al Giudice di Pace con particolare riguardo ai casi di opposizione a decreto ingiuntivo e opposizione all’esecuzion, così come risulta dopo la riforma Cartabia del processo civile, entrata in vigore lo scorso 28 febbraio 2023 (Avvocato Simona Giorgi: CV ed Esperienze Professionali).

La riforma ha, infatti, disposto che le cause di competenza del Giudice di Pace dovranno essere trattate secondo il nuovo “rito semplificato di cognizione”, disciplinato dagli artt. 281 decies del c.p.c., ponendo così all’avvocato la soluzione di un problema non sicuramente banale: posto che gli artt. 645 e 615 comma I c.p.c., non interessati dalla riforma, prescrivono che l’opposizione al decreto ingiuntivo e l’opposizione all’esecuzione si propongono con atto di citazione, cosa succede quando il Giudice competente per materia e/o valore è il Giudice di Pace, il ricorso al Giudice di Pace esclude sempre l’atto di citazione?

Nel contributo segnalato si tenta di offrire una soluzione al quesito, coordinando tra loro le disposizioni di legge, tenendo presente le opinioni espresse dalla dottrina oltre ai protocolli redatti da alcuni Uffici Giudiziari.

Con il nuovo procedimento, tutte le controversie davanti al Giudice di Pace si introducono con ricorso e non più con atto di citazione, cambiano i termini di costituzione in giudizio, cambia la trattazione della causa.

Inoltre dal 30 giugno 2023 anche l’Ufficio del Giudice di Pace è stato informatizzato sicchè l’avvocato è tenuto ad avvalersi del PCT (Processo Civile Telematico) provvedendo ad iscrivere e depositare tutti gli atti soltanto con questa modalità. Anche le udienze saranno trattate in via telematica.

La riforma Cartabia del processo civile ha, quindi, non solo cambiato il rito ma anche le modalità pratiche di gestione dei fascicoli e delle cause.

L’opposizione a decreto ingiuntivo e all’esecuzione davanti al giudice di pace | Salvis Juribus

l’accertamento in rettifica dell’imposta di registro è un tema molto attuale e sentito dai contribuenti. si analizza qui un caso concreto, trattato dallo studio https://avvocatosimonagiorgi.it/diritto-tributario/.

La vicenda

sentenza di accoglimento

l’Ufficio ha accolto il ricorso del contribuente

La società X ha acquistato nel primo semestre del 2019 un immobile uso ufficio nel Comune di Latina pagando interamente il prezzo pattuito con il venditore e versando le relative imposte di registro ed ipo-catastali.

Dopo circa due anni, la società acquirente si vedeva notificare da parte dell’Agenzia delle Entrate competente un avviso di accertamento in rettifica nel quale, assumendo che il valore venale, ossia il valore meramente commerciale dell’immobile, fosse superiore a quello effettivamente pagato chiedeva il pagamento della maggiore imposta e delle sanzioni collegate.

La società acquirente, dopo aver rifiutato la proposta conciliativa formulata dall’Ufficio accertatore, proponeva, con l’assistenza del sottoscritto Avvocato, ricorso avanti alla Commissione Tributaria competente per territorio.

La causa veniva trattenuta in decisione ed in data 9 giugno 2022 veniva notificata alle parti la sentenza di accoglimento del ricorso con conseguente annullamento dell’atto impositivo.

Le ragioni del ricorso

Un aspetto importante da chiarire per la comprensione della vicenda è che l’Ufficio non ha contestato la veridicità del prezzo dichiarato ma ha semplicemente assunto che il bene in questione fosse stato venduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato nell’area di riferimento, procedendo così a rettifica dell’imposta di registro.

La possibilità per l’Agenzia delle Entrate di emettere simili atti non si fonda sull’arbitrio ma sulla legge, essendo espressamente previsto dalla Legge, ed in particolare dall’art. 51 del DPR 131/1986, in base al quale per determinare il valore di mercato degli immobili e controllare la congruità delle imposte versate possono essere utilizzati, tra gli altri mezzi, anche gli atti per operazioni analoghe compiute nel triennio antecedente.

Si tratta del cosiddetto metodo comparativo che, però, come detto, è soltanto uno tra i diversi metodi utilizzabili.

La società ricorrente, nel contestare il criterio di stima adottato dall’Ufficio, rilevava innanzitutto come gli atti allegati dall’Ufficio a sostegno della propria tesi non fossero esaustivi giacchè nel triennio antecedente la compravendita de qua vi erano state altre compravendite aventi ad oggetto immobili analoghi e situati nello stesso stabile per prezzi assolutamente conferenti rispetto a quello contestato e che non erano stati oggetto di rettifica da parte dell’Ufficio.

Non solo. La ricorrente allegava a sostegno della propria tesi le quotazioni immobiliari O.M.I. redatte, proprio dall’Agenzia delle Entrate, le quali rafforzavano la dimostrazione che il prezzo pagato fosse assolutamente congruente con il valore intrinsecamente commerciale del bene, facendo notare come le quotazione avessero dimostrato un decremento nel triennio anche a causa della crisi del mercato immobiliare che, riteniamo, sia un fatto pressoché notorio.

Le motivazioni della sentenza

La sentenza della Commissione Tributaria competente ha condiviso le ragioni del ricorrente, soprattutto in relazione alla corrispondenza tra il prezzo pagato e il valore venale reale.